Castellammare, crisi politica, Mario D’Apuzzo: “l’ammucchiata elettorale è stata una scelta voluta da Vicinanza”
Il dramma politico che sta vivendo l’amministrazione comunale di Castellammare va facendosi, giorno dopo giorno, sempre più grave. E Mario D’Apuzzo, capo dell’opposizione di centrodestra, ne approfitta per alimentare ancora di più la crisi interna al centrosinistra, nella quale il Pd è ormai diviso in due fazioni, cioè quella del sindaco Gigi Vicinanza che fa capo all’ex governatore della Campania Vincenzo De Luca, a cui si contrappone quella guidata da Sandro Ruotolo, allineata con la segretaria nazionale Elly Schlein. “La città che si mobilita per il sindaco, una narrazione che non regge. L’ammucchiata elettorale è colpa sua” dichiara lo sfidante di Vicinanza alle elezioni amministrative del 2024. Mario D’Apuzzo va subito al cuore della questione, la narrazione sulla crisi politica a Castellammare fatta dal quotidiano “Repubblica” di Napoli proprio non gli va giù. Secondo lui la città che si mobilita attorno al Sindaco Vicinanza, assurto ad argine della camorra locale rischia di alterare la realtà dei fatti. “Rimango sinceramente sconcertato da quanto ho letto e continuo a leggere sulla stampa in questi giorni – dichiara Mario D’Apuzzo – Un racconto che, nel dichiarato tentativo di difendere il Sindaco Vicinanza, finisce per alterare la realtà dei fatti e, soprattutto, per assolvere politicamente una classe dirigente che ha compiuto scelte precise, consapevoli e oggi drammaticamente sotto gli occhi di tutti. Sono pienamente consapevole che esprimere questa posizione mi attirerà antipatie, in particolare da parte di chi invoca l’ andare avanti come unica risposta possibile a una crisi evidente. Ma la mia coscienza, prima ancora del ruolo che ricopro, mi impone di dire ciò che penso, anche – e soprattutto – quando è scomodo. E ciò che leggo, francamente, mi destabilizza. Profondamente. L’articolo pubblicato su la Repubblica Napoli descrive una città che si mobilita attorno al Sindaco Vicinanza, dipinto come argine ai clan, quasi fosse una vittima sacrificale di un sistema che altri avrebbero generato. Una narrazione suggestiva, ma che non regge alla prova dei fatti. Tutti conoscono la mia opinione su Sandro Ruotolo e su chi anima le sue esternazioni pubbliche su Castellammare. Ma qui non è in discussione alcuna simpatia o antipatia personale. Qui si impone la necessità, non più rinviabile, di ristabilire un minimo di equilibrio tra i fatti e le responsabilità politiche. Il centrosinistra stabiese, nel tentativo di vincere – anzi, di stravincere – ha scelto consapevolmente la strada dell’ “ammucchiata”. Prima ci si è stretti attorno a un ottimo giornalista, vanto indiscusso della nostra città. Poi si è compiuto un passo ulteriore: si è invitato a candidarsi anche colui che, a sinistra, viene tradizionalmente indicato come paladino della legalità. Il famoso “bollino di garanzia” è stato così impresso su una coalizione costruita non sulla selezione rigorosa, ma su un allargamento indiscriminato, reso possibile dalla presenza di una figura chiamata a fungere da elemento rassicurante e da schermo simbolico. Il ragionamento, semplice quanto pericoloso, fu il seguente: il centrodestra era indebolito dallo scioglimento, il momento appariva favorevole, bisognava approfittarne. “Tutti dentro”, si disse. “Vinciamo e poi vediamo”. Ebbene, quel “poi vediamo” è arrivato. Oggi assistiamo a un tentativo maldestro di riscrivere la storia. Quando quel sigillo di garanzia non è più funzionale – anzi, diventa persino controproducente – viene ridimensionato, se non addirittura sconfessato, dal cosiddetto fuoco amico. Ma la memoria, per quanto corta, può e deve essere sollecitata. Prima della chiusura delle liste, il problema della presenza di candidati oggettivamente impresentabili fu posto con chiarezza. La risposta fu inequivocabile: minacce di uscita dalla coalizione da parte di esponenti autorevolissimi della sinistra, qualora si fosse proceduto a esclusioni. Si decise, scientemente, di andare avanti nonostante tutto. E non può essere rimossa la responsabilità di quanti organizzarono pubblici dibattiti piegandoli alle esigenze del Sindaco, imponendo consapevolmente che si svolgessero senza confronto e senza contraddittorio. Non fu una scelta casuale, ma una precisa strategia per evitare che emergessero questioni che già in campagna elettorale affioravano con forza e in modo inequivocabile. Il confronto venne scientemente sterilizzato per proteggere un impianto politico fragile, costruito sull’elusione delle domande scomode e sulla rimozione preventiva del dissenso. A me è stato insegnato un principio elementare: quando si compiono delle scelte, occorre assumerne la responsabilità. Sempre. Quando producono risultati positivi e, a maggior ragione, quando generano conseguenze negative. Per questo trovo inaccettabile l’idea che oggi debbano essere proprio i “saggi” ad assolvere politicamente il Sindaco rispetto a decisioni che sono state il frutto di un vero e proprio delirio collettivo. Non è eticamente, moralmente né politicamente corretto accontentarsi di una mera epurazione, come se bastasse recidere qualche ramo per salvare un albero ormai compromesso. Mi spaventa – e lo dico con assoluta franchezza – l’idea che l’estromissione di coloro che sono stati coinvolti, direttamente o indirettamente, nelle indagini venga presentata come garanzia sufficiente dell’impermeabilità del nostro ente comunale agli attacchi della criminalità organizzata. Non è così. Non lo è mai stato. Se davvero si vuole difendere Castellammare, non servono club esclusivi di consiglirori né narrazioni autoassolutorie. Serve il coraggio di azzerare tutto, di recidere ciò che va reciso e di restituire la parola agli stabiesi finché c’è ancora tempo .La vera terapia per questa città non è chiudersi in cerchi ristretti, ma coinvolgere direttamente i cittadini, chiamandoli uno ad uno a prendersi cura della propria comunità” .
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